Realtà virtuale è un termine coniato nel 1989 dal «guru della tecnologia» Jaron Lanier: un ossimoro che accosta l’esistenza oggettiva «reale» ad una «virtuale» non realmente esistente.
Prima di tutto occorre fare una distinzione tra realtà aumentata e realtà virtuale.
«La realtà aumentata è la sovrapposizione di immagini e grafici sulla visione del mondo reale, utilizzando occhiali speciali o fotocamere. La realtà virtuale sostituisce la visione del mondo reale con un ambiente 3D digitale (escludendo il mondo reale) utilizzando un display sul viso o un ambiente su larga scala utilizzando proiettori multipli e speciali occhiali 3D» (Ken Swain).
Questo nuovo modo di “vedere la realtà” sta iniziando a trovare sempre più spazio, arrivando così dal futuro nel nostro presente.
Oggi, la realtà virtuale e quella aumentata trovano campi di applicazione in numerosi settori quali la medicina: in particolare nella riabilitazione motoria e cognitiva; nella terapia di disturbi psichiatrici e nell’apprendimento in un contesto di simulazione. Senza dimenticare la chirurgia che vanta un importante risultato raggiunto nel 2017 al Royal London hospital, uno dei più grandi della capitale inglese, dove si è svolta, in collegamento con l’India, la prima operazione chirurgica della storia in realtà virtuale trasmessa in tempo reale.
Anche l’arte, con i nuovi musei e le mostre interattive, incentiva ancora di più l’uso del virtuale grazie ai centomila euro finanziati dal ministero dell’Università e della ricerca per un progetto dell’Università di Urbino che unisce tecnologia e cultura. Grazie a un’applicazione per smartphone e un libretto divulgativo “Alle radici dell’umanesimo scientifico: valorizzazione con le tecnologie della realtà virtuale e aumentata delle macchine rappresentate nelle formelle del Palazzo Ducale di Urbino” è l’idea che intende ridare vita, usando la realtà virtuale, alle macchine e civili e militari rappresentate in 72 formelle poste al basamento del cortile del Palazzo Ducale.
Non sono una novità di certo l’investimento del settore tech in queste nuove tecnologie immersive, ma lo sono sicuramente ancora di più dopo essere state stimolate dalla recente, e ancora attuale, situazione di pandemia da COVID19.
Se dopo oltre un anno di riunioni da remoto, imposte dalla pandemia, ci siamo prima abituati e poi convinti che software come Zoom siano ottimi strumenti, Facebook ha sviluppato un’idea ancora più avanguardista.
Da Menlo Park, infatti, hanno lanciato un’app di realtà virtuale in grado di far sentire te e i tuoi colleghi come se foste seduti attorno a un “vero” tavolo durante una riunione in ufficio.
Questa novità si chiama Horizon Workrooms ed è un’applicazione gratuita per gli utenti del visore Oculus Quest 2. Ed è uno sforzo abbastanza ambizioso che mira a sfruttare tutte le potenzialità della realtà virtuale anche in ambiti diversi dall’intrattenimento e dai giochi.
Come funziona?
Workrooms consente a un massimo di 16 utenti (dotati del visore Oculus) di incontrarsi in una sala conferenze virtuale, ognuno dei quali rappresentato da un avatar personalizzabile simile a un cartone animato che appare a mezzobusto e fluttua leggermente sopra una sedia virtuale a un tavolo. L’app supporta fino a 50 partecipanti in una singola riunione, con il resto in grado di partecipare come videochiamanti che appaiono in uno schermo piatto simile a una griglia all’interno della sala riunioni virtuale.
I partecipanti alla riunione che indossano le cuffie possono usare le dita e le mani reali per gesticolare in realtà virtuale e le bocche dei loro avatar sembrano muoversi in modo realistico mentre parlano. Una lavagna virtuale consente alle persone di condividere immagini o fare presentazioni.
Anche Apple pare non voglia rimanere indietro e le ultime fonti di The Information hanno spiegato che Apple starebbe sviluppando una sua versione del visore per la realtà aumentata.
Dovrebbe essere una versione più «leggera» rispetto a quelle già ampiamente impiegate su iPhone, Watch e altri prodotti.
Il nuovo modello dovrebbe privarsi probabilmente del cosiddetto “Neural Engine”, che si occupa dell’intelligenza artificiale e dell’apprendimento automatico, e quindi sfruttare quello integrato su un dispositivo esterno come potrebbe essere l’iPhone.
In sintesi, è come se Apple puntasse a ottenere un accessorio snello, abbastanza potente ma senza effetti collaterali su ingombri e consumi. Un po’ come è avvenuto con le prime linee Watch che avevano bisogno dello smartphone per connettersi alla rete mobile.
La verità è che il futuro non è poi così lontano.
E tu cosa ne pensi di queste nuove tecnologie immersive?